Come ti parli?
Le parole che usiamo sono il riflesso dei pensieri che facciamo, sono la parte concreta di qualcosa di astratto. Le parole che diciamo svelano cosa pensiamo.
Non di rado, in seduta osservo un cambio di registro linguistico quando i pazienti passano dal parlare delle altre persone, a parlare di sé stessi. Quello che accade è che, quando arrivano a parlare di sè stessi, i pazienti usano parole decisamente più dure, più critiche e svalutanti. Insomma, pare proprio che si sia più accoglienti e comprensivi verso gli altri, che non verso di sè.
Ma quand’è che impariamo a parlarci così male? Che tono usiamo con noi stessi? Come mai se sbagliamo o falliamo in qualcosa, ci parliamo in modo severo e punitivo? Di chi è quella voce? Quelle parole ce le siamo già sentite dire da qualcuno, come un genitore o un parente o un partner?
Quando mi accorgo di questi dialoghi interiori rigidi, invito i pazienti ad immaginare che sia una persona cara ad essere nella medesima situazione d’errore o difficoltà e li sprono ad immaginare cosa direbbero. Sempre, arriva un registro linguistico che ridimensiona, che concilia, che contempla l’errore come qualcosa di umano, che cerca il perdono o la ricostruzione. Ma con sè stessi, le parole che usano sono opposte.
Fate caso a come vi parlate, al tono che usate, chiedetevi se state rispondendo ad una voce che apparteneva a qualcuno della vostra infanzia e scegliete di parlarvi in modo nuovo, vostro, autentico, possibilmente benevolo.
Vi auguro di sperimentare con voi stessi parole gentili.
Foto di Christin Hume su Unsplash